Il rilievo della minore età nella domanda di protezione internazionale
la pronuncia della Corte di Cassazione n. 6913/2020 dell’11/03/2020.
(redatto dall’Avv. Piero Lucà).
Lo Studio Lucà Sacco & Partners, in collaborazione con l’avv. Giovanbattista Scordamaglia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che, in accoglimento del ricorso proposto dal Ministero dell’Interno, aveva riformato l’ordinanza con cui il Tribunale di Catanzaro riconosceva la protezione umanitaria ad un cittadino ivoriano, revocando la misura al giovane richiedente asilo e, di fatto, respingendo la domanda di protezione internazionale nella sua totalità.
In particolare, la Corte di Appello ha ritenuto che la minore età del richiedente asilo, all’epoca dell’ingresso in Italia e della domanda di protezione internazionale, non fosse elemento sufficiente ai fini del riconoscimento dell’istituto della protezione umanitaria, sul presupposto, che nelle more dell’istruttoria procedimentale, il richiedente fosse diventato maggiorenne.
La peculiarità e l’importanza della pronuncia di legittimità, è rinvenuta nella rilevanza che la Suprema Corte ha attribuito alla minore età del ricorrente, al momento dell’ingresso in Italia, nonché nella necessità che la domanda del minore sia trattata con priorità, ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 25/08, che costituisce il fulcro della censura opposta alla Corte di merito.
Inoltre, secondo l’orientamento, ormai consolidato a partire dalla nota sentenza n. 4455/2018, la Suprema Corte ha evidenziato l’importanza del giudizio di comparazione, pretermesso dalla Corte d’appello, tra le ragioni che hanno indotto il giovane a lasciare il Paese, ancorché minorenne, e le condizioni sopraggiunte nel paese ospitante (“aver lasciato il Paese di origine ed essere entrato in Italia da minorenne, aver ricevuto accoglienza quale minore non accompagnato; aver compiuto la maggiore età nelle more della domanda di asilo, aver allegato una situazione di forte indigenza e instabilità psicologica, aver svolto qualche lavoro con regolare assunzione”); nel caso in esame, la complessità delle condizioni personali del richiedente asilo, avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello a rigettare il gravame e confermare la tutela umanitaria riconosciuta dal giudice di primo grado, in virtù di un concetto di vulnerabilità sostanziale, ispirato ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, scevra dai formalismi aritmetici del compimento della maggiore età (peraltro non imputabile al richiedente asilo ma al mancato rispetto della procedura accelerata da parte dell’organo amministrativo, normativamente imposta).
Si riportano, per una migliore comprensione, i tratti salienti della decisione della Corte di Cassazione, rinviando alla sentenza integrale per un più approfondito esame (Cass. Civ. n. 6913/2020 dell’11/03/2020).
“Il ricorrente era minorenne non accompagnato quando era pervenuto in Italia il 16/7/2015 e al momento della sua audizione personale (2/4/2016), anche volendo considerare attendibile la data di nascita del 2/2/1998 in luogo di quella (1/1/2000) riportata nel provvedimento di diniego della Commissione.
Il caso non era stato trattato in via prioritaria, come imposto dall’art.28 del d.lgs.25/2008 per i minori non accompagnati; d’altra parte, ai sensi dell’art.19, comma 2, d.lgs.286/1998 il ricorrente non era espellibile in quanto minore di anni 18.
Le varie circostanze rappresentate (aver lasciato il Paese di origine ed essere entrato in Italia da minorenne, aver ricevuto accoglienza quale minore non accompagnato; aver compiuto la maggiore età nelle more della domanda di asilo, aver allegato una situazione di forte indigenza e instabilità psicologica, aver svolto qualche lavoro con regolare assunzione) erano elementi che il Collegio non avrebbe dovuto trascurare e che sul presupposto di una particolare vulnerabilità del richiedente avrebbero dovuto giustificare il rigetto del gravame.
Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n.29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito con legge n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal d.lgs.n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.
Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.
Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato il principio che la protezione umanitaria si configura come misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Sez. 6 – 1, n. 23604 del 09/10/2017, Rv. 646043 – 02); il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018,Rv. 651579 – 03); la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiché, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, d. lgs. n. 286 del 1998 (Sez. 6 – 1, n. 9304 del 03/04/2019, Rv. 653700 – 01).
La Corte di appello ha escluso la situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente, riconosciuta invece dal Giudice di primo grado, negando rilievo alla minore età del (omissis) al momento dell’arrivo in Italia, anche secondo la meno favorevole opzione (per vero motivata solo da uno sbrigativo «come è noto») fra le due date di nascita alternativamente considerate (1/1/2000 e 2/2/1998).
Il ricorrente è arrivato, solo, in Italia il 16/7/2015; in data 22/12/2015 è stato accolto presso il Centro di Accoglienza di Petilia Policastro, come risulta dal decreto del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro del 5/1/2016; solo in data 12/4/2016 è stato sentito dalla Commissione territoriale, nonostante il disposto dell’art.18 del d.lgs.142/2015 che imponeva la trattazione prioritaria della domanda di asilo del minore.
Il giovane è quindi arrivato in Italia, ha proposto domanda, è stato accolto e sentito dalla Commissione Territoriale quando ancora era minorenne, pur secondo il calcolo più sfavorevole adottato dalla Corte di Appello.
La Corte catanzarese, in riforma della decisione di primo grado, ha attribuito valore decisivo alla sopraggiunta maggiore età del ricorrente, senza tener in alcun conto che anche secondo il conteggio più sfavorevole ciò era avvenuto ben dopo l’arrivo in Italia e la richiesta di protezione, in virtù di un automatismo matematico, del tutto indifferente ai tempi del procedimento che non possono essere imputati al richiedente asilo e al parametro di prioritaria trattazione sancito dalla legge.
In siffatto contesto la Corte ha anche ignorato la circostanza dell’assunzione del giovane a tempo determinato, rilevante ai fini del giudizio comparativo, documentata in secondo grado, per rimarcare la mancanza di qualsiasi allegazione di elementi di integrazione lavorativa”.
Conclude la
Suprema Corte che: “In ragione
dell’accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere
cassata con il rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa
composizione”.
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